La storia e l’impegno per i motori diesel della VM Motori (oggi FCA Italy Cento) arriva da molto lontano. Tutto inizia nel 1947, nell’immediato dopoguerra, quando due imprenditori mossi da quella voglia di riscatto che caratterizzava la gran parte degli italiani a quel tempo, decisero di fondare una piccola azienda – a Cento, in provincia di Ferrara – dedita alla costruzione di motori diesel destinati principalmente al settore agricolo.

Un decisivo cambiamento avviene all’inizio degli anni 70, quando la VM Motori costituisce una serie di joint venture proficue per il suo sviluppo industriale, prima fra tutte quella con la Grandi Motori Trieste, mediante la quale beneficia di una sorta di complementarità dei prodotti, creando di fatto una gamma di motori vasta e interessante, e una società con due sedi: Trieste e Cento.

Negli anni l’azienda vive diverse trasformazioni ma il passaggio più importante avviene quando entra nell’orbita di IRI-Finmeccanica. All’interno di questo vasto comparto industriale che spazia dal navale al siderurgico fino ai settori strategici impegnati nelle forniture militari, l’azienda di Cento va a innestarsi in un settore motoristico, fino a quel momento rappresentato in IRI dall’Alfa Romeo. Negli anni della crisi petrolifera, l’Alfa Romeo aveva pensato ad alternative più economiche delle prestanti ma poco parche motorizzazioni benzina. Il primo passo è quello di affidarsi a un motore diesel Perkins, poco adatto alla raffinata meccanica delle Alfa, che necessitava di prestazioni di gran lunga superiori a quelle fornite dal poco sofisticato motore inglese. La soluzione viene successivamente trovata all’interno del gruppo IRI, di cui l’Alfa Romeo faceva parte, sfruttando come base i motori VM, sviluppati questa volta con l’esperienza automobilistica dei tecnici Alfa. La base progettuale VM poggia su due aspetti fondamentali per la robustezza del propulsore: teste singole e basamento a tunnel. Le teste singole costituiscono una peculiarità importante per la durata dei propulsori, perché in un’epoca di iniezione indiretta le sollecitazioni termiche maggiori erano scaricate nelle teste, dove erano annegate le precamere di combustione. L’esperienza dell’Alfa fa confluire nel nuovo progetto il know-how derivante dalle competizioni, nelle quali si inizia a usare il turbocompressore per arrivare a potenze specifiche elevate. L’uso del turbocompressore applicato ai diesel è una strada nuova per l’epoca, che porterà una trasformazione irreversibile, visto che oggi il suo utilizzo nei diesel è indispensabile per ragioni legate non solo alla potenza ma anche alle emissioni. Da quella collaborazione con VM, nasce nel 1979 l’Alfa Romeo Alfetta Turbodiesel, motorizzata con un 4 cilindri 2 litri con una potenza di 82 CV e un comportamento piuttosto brillante per l’epoca.

Nel 1990 viene presentato il nuovo motore “Turbotronic” 4 cilindri. In questo periodo l’idea del controllo elettronico di un motore diesel è un tema seguito con grande interesse da diversi centri di ricerca – interesse che si realizzerà nella sua completezza alcuni anni più avanti con il Common Rail. Il Turbotronic viene definito, non a torto “il motore diesel più pulito al mondo”. Senz’altro rappresenta il motore diesel con più alto apporto di elettronica a confronto con i maggiori competitor europei: numerosi sensori per adeguare l’iniezione ai carichi motore, raggiungendo i livelli di emissioni richiesti dalle normative senza mortificare le prestazioni. Il Turbotronic raccoglie il consenso di numerose case automobilistiche, non solo europee, che se ne dotano per i propri modelli. Oltre ovviamente ad Alfa Romeo ci sono infatti Rover, Ford, Toyota e infine Chrysler e Jeep con le quali si crea un legame commerciale ancora oggi in essere. Fra le auto motorizzate da quel 4 cilindri, una delle più rappresentative è il Chrysler Voyager che contribuisce, in Europa, a creare il fenomeno delle monovolume.

Privatizzata nel 1989, l’azienda vive diversi riassetti societari durante i quali la sua proprietà passa attraverso Detroit Diesel, Daimler, GM, Penske Corporation. Nel 2011 l’azienda entra negli interessi di Fiat Group Automobiles che prima acquista il 50% delle azioni, condividendo di fatto la proprietà con GM, e poi rileva il restante 50 % alla fine del 2013. Con questa trasformazione societaria la VM Motori diventa FCA Italy Cento plant.

Altro progetto curato da VM Motori è quello relativo a una classica icona inglese: il black cab. Il taxi londinese, insieme alle cabine telefoniche rosse e ai poliziotti in bombetta, fa parte del paesaggio urbano della capitale inglese. Il motore fornito alla London Taxi è un 4 cilindri 2.8 litri già omologato Euro 6, tarato secondo le particolari esigenze di questo tipo di applicazione.

Oggi il motore di spicco della ex VM è il V6 di 2987 cc che motorizza veicoli quali Jeep Gran Cherokee, Dodge Ram oltre che tutte le Maserati -Ghibli, Quattroporte e Levante. Questo motore sta approdando alla sua terza generazione e accoglie tutto quanto è oggi il meglio disponibile per questa tipologia di motori: iniezione Common Rail con pressioni d’iniezione 2000 bar, iniezioni in 8 fasi multiple secondo la tecnologia Multijet II (by FIAT), sistemi EGR low e high pressure, turbocompressori a geometria variabile raffreddati ad acqua (ball bearing su Maserati), testate a 4 valvole per cilindro, basamenti in CGI. Questo motore in configurazione mono-turbocompressore ha raggiunto, nell’applicazione Maserati, 275 CV con 600 Nm di coppia e, oltre a essere attualmente prodotto nel plant di Cento, è stato progettato e sviluppato in VM. Infatti l’azienda è sempre stata organizzata come una piccola unità indipendente, dotata di centro tecnico e banchi di prova e sviluppo, in modo da poter offrire ai clienti un prodotto già pronto per l’installazione su veicolo.

La VM, lungo questo suo percorso fra tecnica e trend economici fluttuanti, dovuti alla variabilità del mercato diesel in Europa e negli Usa, ha continuato una tradizione proveniente dalle sue origini: costruire motori diesel per applicazioni marine e off-road. Questo aspetto del business, un po’ meno sotto i riflettori di quanto sia quello automotive, ha permesso di mantenere i livelli occupazionali pressoché costanti anche quando il mercato dell’auto stagnava. In anni recenti sono stati messi a punto i primi diesel off-road Stage IV e il suo omologo on road Euro VI, sviluppando internamente anche i sistemi di aftertreatment e serbatoi Urea da fornire ai clienti come un unico pacchetto.

Leonardo Imparato