La gente sta cominciando un po’ confusamente a capire che il mondo dell’automotive è entrato in una fase di radicali cambiamenti. La sfida della sostenibilità – adottiamo questo termine fin troppo abusato – ha innescato una decisa accelerazione in direzione di nuovi paradigmi tecnologici.
In Europa le regole sempre più restrittive che caratterizzeranno la cosiddetta fase Euro7 prevista per il 2026 (forse sarà anticipata al 2025) potrebbero decretare la scomparsa dei motori endotermici.
I produttori nel corso degli ultimi 15-10 anni hanno espresso una grande capacità di adattamento: le tecnologie motoristiche , i sistemi di aspirazione e scarico sono evoluti rapidamente come mai era avvenuto in passato: ma non basta a soddisfare la richiesta di un taglio drastico, sino all’azzeramento, delle emissioni.
Da un certo punto di vista l’imposizione per via normativa di standard tecnologici sempre più esigenti ha accelerato l’obsolescenza del parco circolante aprendo inediti spazi di mercato a un prodotto maturo come l’automobile.
Ma ora il cambio di paradigma – il turnaround – un altro termine molto utilizzato, rischia di mettere in seria difficoltà non solo i produttori ma anche il sistema complessivo della mobilità; che certamente dovrà essere rimodellato in uno schema che integri soluzioni diverse: cambierà la relazione fra trasporto privato e trasporto collettivo (forse rinunciare a costruire autobus non è stata una buona idea…), il noleggio a lungo termine – che pure ha sofferto durante l’emergenza Covid – sottrarrà mercato alla proprietà individuale del mezzo di trasporto, nei centri urbani si adotteranno soluzioni strutturali e normative per favorire la mobilità dolce sulle brevi distanze (zone 30, ovvero aree della rete stradale urbana dove il limite di velocità è di 30 chilometri orari, che consentano la coesistenza pacifica fra automobili e biciclette, pedonalizzazioni).
L’elettrificazione non sarà il frutto di un colpo di bacchetta magica. Non è certo questa la sede per approfondire le problematiche tecniche, di mercato e organizzative che dovremo fronteggiare: ma ci limiteremo a elencarne alcune.
L’alimentazione: i tempi di ricarica sono molto, molto più lunghi di una semplice sosta dal benzinaio; chi ha la fortuna di possedere un box può installare un punto di ricarica privato ma che farà dopo un viaggio lontano da casa? Per questo motivo molti osservatori ritengono che realisticamente il mercato si orienterà prevalentemente verso le city car; del resto l’inquinamento e le sue conseguenze sulla nostra salute sono concentrati prevalentemente negli agglomerati urbani (bene ha fatto FCA a lanciare la bellissima 500 elettrica). Attrezzare le città con una miriade di punti di ricarica lungo le strade è impensabile: per i costi, per le difficoltà realizzative e perché verrebbe sottratta ai cittadini una quantità spropositata di parcheggi; monterebbe la protesta (e sappiamo quanto i partiti sono sensibili al mercuriale del consenso…) e rendere pressoché impossibile la sosta non è un buon servizio reso al mercato dell’auto (sia di proprietà che a noleggio).
I motori elettrici sicuramente sono destinati a evolvere sul piano tecnologico e molte aziende di engineering sono già al lavoro in molte parti del mondo: ha ragione chi ha paragonato gli odierni propulsori elettrici al motore di una Balilla, trapiantato in una vettura modernissima dal punto di vista del design, dell’handling, della sicurezza? Anche le batterie saranno soggette ad affinamenti importanti.
Appare molto interessante la soluzione basata sul c.d. range extender: si tratterebbe di un veicolo ibrido dotato di un propulsore elettrico e di un motore endotermico di piccola cilindrata che avrebbe la funzione non di muovere le ruote ma semplicemente di generare energia a bordo e di ricaricare le batterie: le emissioni inquinanti sarebbero ridotte al minimo anche se non si tratterebbe di veicoli zero emission.
Già le emissioni: ipotizziamo per un attimo che Harry Potter trasformi tutti i veicoli circolanti nel mondo in Bev (Battery electric vehicle) completamente elettrici: dove andremmo a prendere l’energia necessaria? Se si riuscissero a utilizzare fonti rinnovabili (idroelettrico, geotermia, eolico) o se esistessero le centrali nucleari di quarta generazione, che rispetto a quelle attuali rilasciano una percentuale minima di scorie (non ci si riferisce alle centrali a fusione che saranno pronte fra una trentina di anni ma a tecnologie a fissione evolute: i progetti erano pronti alcuni anni fa ma inspiegabilmente non si è passati alla fase di industrializzazione), potremmo dire di avere quadrato il cerchio; ma se l’energia fosse ricavata da fonti fossili, magari dal carbone, non avremmo risolto affatto il dilemma dell’inquinamento, dell’effetto serra, del riscaldamento globale.
Grandi speranze sono riposte sull’idrogeno che può essere utilizzato al posto dei carburanti fossili per alimentare un normale motore endotermico (Toyota ha lanciato sul mercato una vettura cosiffatta) o introdotto in una “pila combustibile” a bordo del veicolo per produrre l’energia necessaria ad azionare il motore elettrico. L’idrogeno comunque non esiste in natura e deve essere prodotto utilizzando energia: prodotta in che modo?
Un ultimo quesito che in quanto sindacato non possiamo eludere: i motori elettrici sono più semplici dei motori endotermici e richiedono un numero inferiore di addetti; è vero per la fase produttiva ma anche probabilmente per quella progettativa. Quale l’impatto sull’occupazione? Che ne sarà delle straordinarie competenze ingegneristiche di cui tutte le case dispongono nel campo dei propulsori tradizionali?
Abbiamo messo in fila un insieme di dubbi e domande che riguardano il futuro dell’industria automotive senza ovviamente pretendere di esaurire un tema così complesso ed epocale.
Crediamo che tutti gli attori – produttori in primis, fornitori, sindacati, governi, istituzioni sovranazionali – dovranno porsi questi e altri interrogativi ricercando le migliori soluzioni in modo sinergico e condiviso.