Fino al 2021 in Italia non esisteva una forma universale di sostegno al reddito per i “poveri”. Come noto, gli ultimi due decenni non sono stati agevoli per il paese Italia, dal punto di vista sia economico che sociale.
Il passaggio dalla lira all’euro nel gennaio-febbraio 2002 nonché il combinato effetto della crisi economica degli anni 2008-2009 e della crisi dei debiti sovrani degli anni 2011-2013, hanno generato negative ricadute sui livelli e sulla distribuzione del reddito disponibile nel nostro Paese.
Secondo i dati Istat, la quota delle famiglie in condizione di povertà assoluta – che si posizionava al 4% nel 2008 – saliva al 6,3% nel 2013, per poi passare al 6,4% nel 2019.
La crisi derivante dal Covid-19 ha ovviamente colpito i nuclei familiari con basso reddito, in maniera più intensa. E ciò nonostante gli interventi straordinari e strutturali assunti dal Governo in carica in quegli anni. Nel 2021 la quota di famiglie in povertà assoluta era salita al 7,5%. Secondo i dati dell’Istat, tra il 2008 e il 2021 la disuguaglianza del reddito disponibile è cresciuta di 0,5 punti percentuali.
Nel 2022 la Commissione europea ha invitato i governi dei Paesi membri ad attuare misure tali da garantire ai cittadini un adeguato reddito minimo. È d’obbligo rilevare che, fino al 2017, l’Italia e la Grecia erano i soli Paesi dell’Unione europea a non avere una legislazione che prevedesse per i “poveri” una forma universale di sostegno al reddito.
Introduzione legislativa di uno strumento per il contrasto strutturale alla povertà
Nel 2018 veniva introdotto in Italia, a livello nazionale, uno strumento di contrasto strutturale alla povertà, denominato reddito di inclusione (Rei). Nell’aprile del 2019 questo sussidio veniva sostituito da un nuovo strumento, chiamato reddito di cittadinanza (Rdc), il quale aumentava in maniera significativa sia il numero dei soggetti beneficiari sia la congruità degli importi medi erogati. Le risorse utilizzate dal Rdc sono state pari a circa tre volte quelle assorbite dal ReI.
Il reddito di cittadinanza veniva istituito con una duplice contemporanea funzione: strumento di contrasto alla povertà e misura di politica attiva del lavoro.
Va sottolineato che, secondo i dati dell’Istat e della Banca d’Italia, il predetto reddito di cittadinanza ha sostenuto in misura sufficientemente congrua il reddito delle famiglie italiane
in condizioni di povertà, attutendo gli effetti negativi rivenienti dalla pandemia da Covid-19 (1).
Secondo le stime della Banca d’Italia, l’introduzione del reddito di cittadinanza avrebbe comportato una riduzione dell’incidenza e dell’intensità della povertà assoluta, che sarebbero “scese, rispettivamente, di oltre 2 e 3 punti percentuali” (1).
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Tuttavia il reddito di cittadinanza non raggiungeva in maniera omogenea tutti i nuclei familiari in condizioni economiche disagiate, a causa di alcune criticità normative le quali ponevano condizioni meno favorevoli per le famiglie di origine straniera, nel cui ambito l’incidenza del tasso di povertà assoluta è più alta della media.
Relativamente alle politiche attive del lavoro, il Rdc non ha prodotto gli auspicati effetti circa l’entrata degli inoccupati nel mercato del lavoro. Tra le possibili cause che hanno provocato siffatto risultato, vanno rilevate le seguenti:
a) congiuntura economica negativa riveniente dalla chiusura da covid-19;
b) ritardi nel potenziamento dei centri per l’impiego, preposti a favorire l’entrata nel mercato
del lavoro;
c) scarsa domanda di lavoro dalle imprese;
d) scarso interesse del lavoratore ad offerte lavorative “marginali” dal punto di vista retributivo,
rispetto ai sussidi erogati.
Sostituzione dal primo gennaio 2024 del reddito di cittadinanza con l’assegno di inclusione
Con il decreto legge 4 maggio 2023 n. 48 (convertito nella legge 3 luglio 2023, n. 85) sono state introdotte misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro. Sono state cioè ridisegnate le misure di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale mediante le seguenti previsioni:
- sostituzione dal primo gennaio 2024 del reddito di cittadinanza con l’assegno di
inclusione (Adi) quale “misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione
sociale delle fasce deboli”, rinnovabile fino a quando persista lo stato di bisogno; - durata limitata a sette mesi del beneficio previsto dal regime transitorio per il 2023 del
reddito di cittadinanza per alcune tipologie di nuclei familiari percettori; - introduzione del Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl), dal primo settembre 2023, che
fornisce un’indennità condizionata all’adesione a programmi formativi o a progetti utili per la
collettività, di durata limitata e non rinnovabile.
Assegno di inclusione
L’assegno di inclusione (Adi) consiste in un’integrazione al reddito familiare, al quale si
aggiunge un contributo per il pagamento del canone di locazione per le famiglie che vivono in
affitto. L’Adi sarà erogato per un periodo continuativo di diciotto mesi e sarà rinnovabile, dopo
un mese di sospensione. Il rinnovo durerà dodici mesi rispetto ai diciotto mesi previsti dalla
precedente normativa relativa al reddito di cittadinanza.
Analogamente al reddito di cittadinanza, l’assegno di inclusione si concretizza in un
sussidio che va a integrare il reddito familiare fino alla soglia di euro 6 mila annui per i nuclei
familiari formati da una sola persona, un valore che sarà maggiorato con prefissati coefficienti
di equivalenza per i nuclei familiari più numerosi.
Con riferimento alle rispettive norme del preesistente Rdc, i coefficienti di equivalenza
sono più alti per gli individui disabili, ma sono più bassi per gli adulti di età compresa tra 18 e
59 anni che non hanno carichi di cura ovvero che non sono inseriti in programmi di cura e
assistenza e per i minori.
Le famiglie con figli a carico (di età inferiore ai 21 anni) beneficeranno della piena cumulabilità tra l’assegno unico e universale (Auu) e l’assegno di inclusione.
Per contro, nel preesistente assetto normativo l’importo del reddito di cittadinanza era decurtato in presenza di minori aventi diritto all’assegno unico e universale.
L’accesso all’assegno di inclusione è subordinato a requisiti anagrafici ed economici più stringenti rispetto a quelli previsti dal precedente assetto in tema di reddito di cittadinanza.
Le prescrizioni circa il requisito di residenza risultano però meno stringenti per i nuclei familiari stranieri. I nuclei familiari percettori che vivono in affitto continueranno a ricevere anche un contributo per le spese di locazione, pari a quello previsto nella previgente normativa in tema di Rdc, fino a un massimo di euro 3.360 annui. Non è più previsto, invece, il contributo per il mutuo per i nuclei familiari proprietari di casa.
Per quanto riguarda l’accesso all’assegno di inclusione, a differenza del precedente regime, la normativa prevede specifici requisiti anagrafici, cioè sarà necessaria la presenza nel nucleofamiliare di almeno un componente minorenne o di età superiore a 59 anni, oppure disabile, oppure inserito in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali. Per la verifica della prova dei mezzi, la soglia dell’Isee resta pari ad euro 9.360 (come per l’ex Rdc).
La soglia di accesso relativa al reddito familiare sarà pari ad euro 6 mila per tutti i nuclei familiari. La normativa relativa al reddito di cittadinanza, invece, differenziava tra nuclei familiari con abitazione di proprietà (euro 6 mila) e quelli in affitto (euro 9.360), riconoscendo che questi ultimi sostengono costi maggiori connessi con la locazione.
Contributo per le spese di locazione
Per le famiglie affittuarie con reddito familiare non superiore ad euro 6 mila, la normativa vigente ex decreto legge n. 48 prevede un contributo per le spese di locazione di ammontare pari a quello previsto nel previgente assetto del reddito di cittadinanza.
I nuclei familiari in affitto con un reddito familiare compreso tra euro 6 mila e 9.360 (i quali in precedenza avrebbero potuto ricevere il reddito di cittadinanza), non potranno invece accedere all’assegno di inclusione. Nel calcolo del patrimonio immobiliare, la normativa di cui al decreto legge n. 48/2023 – a differenza di quella precedente – introduce un vincolo per i nuclei familiari proprietari di case, relativo al valore (ai fini dell’Imu) dell’abitazione di proprietà che deve essere inferiore ad euro 150 mila. Risulta meno stringente il requisito relativo alla data di acquisizione della residenza per le famiglie di origine straniera: cinque anni, invece di dieci.
Supporto per la formazione e il lavoro
Il sopra citato decreto legge n. 48/2023 ha disposto l’introduzione, dal primo settembre 2023, del Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl), con un’indennità fissa pari ad euro 50 mensili per gli adulti tra 18 e 59 anni, correlata alla partecipazione a programmi formativi o progetti utili per la collettività.
È previsto sia l’obbligo di partecipare a percorsi di attivazione sia l’obbligo di accettare offerte di impiego che soddisfano specifiche condizioni. In caso di avvio ad un’attività lavorativa sono previsti incentivi ai beneficiari e ai datori di lavoro.
L’accesso al Supporto per la formazione e il lavoro ha una durata massima pari a dodici mesi, non è rinnovabile ed è riservato agli individui in nuclei familiari aventi un Isee non superiore ad euro 6 mila. Per quanto riguarda i nuclei familiari che percepiscono l’assegno di inclusione, solo gli adulti – senza carichi di cura e responsabilità genitoriali – potranno ricevere il Supporto formazione e lavoro.
Anche le nuove misure – come quelle già relative al reddito di cittadinanza – hanno il duplice obiettivo di contrastare la povertà e di incoraggiare il reinserimento nel mercato del lavoro:
- sia dei beneficiari dell’indennità di Sfl;
- sia dei percettori dell’assegno di inclusione che non percepiscono l’indennità di Sfl ma che
sono ritenuti occupabili dai servizi sociali.
Non sono preventivamente stimabili gli effetti della riforma circa il Supporto per la formazione e il lavoro, a causa dell’eccessiva volatilità di ogni ipotesi concernente i percorsi formativi per l’accesso al mercato del lavoro.
Costo complessivo a regime delle misure previste
Il costo complessivo a regime di entrambe le misure previste dal decreto legge n. 48/2023 è stato comunque stimato dalla Banca d’Italia in 5,8 miliardi all’anno per l’assegno di Inclusione e 1,3 miliardi per il Supporto alla formazione e al lavoro. Al riguardo consultare “La revisione delle misure di contrasto alla povertà” (Banca d’Italia, Occasional Papers – Questioni di Economia e Finanza, n. 820, dicembre 2023).
Il costo delle nuove misure è certamente inferiore a quello riveniente dal reddito di cittadinanza pari a 8,8 miliardi all’anno circa.
Sintesi conclusiva
Secondo le simulazioni della Banca d’Italia, a parità di condizioni, l’impatto che avrà l’assegno di inclusione relativamente alla incidenza del tasso di povertà sarà inferiore a quello generato dal preesistente assetto normativo relativo al reddito di cittadinanza (1).
Secondo tali simulazioni (1), i più restrittivi requisiti di accesso previsti per la fruizione dell’assegno di inclusione, se comparati con quelli concernenti il previgente reddito di cittadinanza, comporteranno una forte diminuzione del numero dei potenziali destinatari, il cui numero passerà da 2,1 milioni a 1,2 milioni di nuclei familiari. Ovvero vi saranno 900 mila nuclei familiari che saranno esclusi da siffatta forma di sostegno al reddito.
In definitiva, a nostro avviso, la nuova normativa appare come una variazione in pejus del precedente assetto e mantiene il nostro Paese in coda alla graduatoria dell’Unione europea, in tema di misure di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli della popolazione italiana.
Nota (1) “La revisione delle misure di contrasto alla povertà” (Banca d’Italia, Occasional Papers – Questioni di economia e finanza, n. 820, dicembre 2023).