Si è svolta il 18 dicembre 2023 la riunione della Presidenza della CUQ – Confederazione Unitaria Quadri per analizzare le principali emergenti tematiche al momento sul tappeto nel nostro Paese.
Come noto, l’organizzazione è espressione di storiche associazioni sindacali quali l’ANQUI (Associazione Nazionale Quadri Industria), comprensiva al suo interno dell’AQCF-R, Associazione Quadri Capi Fiat rappresentanza, erede del movimento che portò nel turbinoso anno 1980 – e precisamente il 14 ottobre – alla “Marcia dei quarantamila” destinata a cambiare radicalmente le relazioni sindacali nella più grande industria italiana dell’epoca. Alla CUQ aderiscono altre realtà associative che, direttamente o indirettamente, firmano contratti collettivi nazionali di lavoro a livello di importanti settori economici.
L’approccio della CUQ nei confronti delle varie problematiche è – e continuerà ad essere – sempre propositivo e costruttivo, finalizzato a fornire alle competenti autorità istituzionali un contributo di idee (“Representing People through Ideas”) per la risoluzione di ogni emergente criticità nonché per un perequato e non discriminatorio sviluppo economico e sociale, proteso a proteggere le fasce più fragili e deboli della nostra popolazione.
Nel corso della riunione, dopo una variegata analisi, si è convenuto, sulla necessità per il nostro Paese che vengano adottate pervasive azioni governative per la concretizzazione di politiche finalizzate alla crescita economica e allo sviluppo sociale nonché al risanamento dell’assetto finanziario della nostra Comunità Statuale.
E ciò mediante l’auspicabile implementazione di:
- una lungimirante politica economica espansiva sì da generare un incremento dei consumi che, a sua volta, provocherà un aumento della domanda produttiva di beni e servizi, innestando un circuito virtuoso che genererà inevitabilmente anche un incremento dei livelli occupazionali. Si è auspicata la concretizzazione di una politica economica ispirata ai principi dell’economia sociale di mercato che coniuga il liberismo economico con i principi di giustizia sociale, questi ultimi da concretarsi attraverso l’intervento dello Stato.
- una politica industriale che, a tutto tondo, favorisca e valorizzi l’insediamento di nuove attività produttive nel territorio italiano, utilizzando lo strumento delle agevolazioni fiscali e finanziarie, in linea con similari meccanismi attivati da altri Paesi dell’Unione Europea, così da scoraggiare ogni forma di delocalizzazione produttiva all’estero.
È evidente che una continua delocalizzazione industriale impoverisce cronicamente il tessuto produttivo italiano, generando disoccupazione ed eventuale successiva duratura inoccupazione, con rilevanti costi sociali.
La delocalizzazione degli impianti produttivi, protratta nel tempo, produrrà un inevitabile declino economico (con conseguente desertificazione industriale), caratterizzato da una progressiva diminuzione del Pil del Paese Italia.
- una profonda riforma fiscale tendente ad eliminare ogni forma di evasione, elusione ovvero di “erosione” della base imponibile ai fini fiscali. L’eventuale rivisitazione “virtuosa” della composita e variegata normativa in materia tributaria genererebbe acquisizione di nuovo gettito che potrebbe, fra l’altro, essere destinato alla graduale riduzione dell’oneroso debito pubblico (posizionato ad agosto 2023 sulla cifra “monstre” di euro 2.841 miliardi).
- una politica finanziaria di graduale rientro del debito pubblico del nostro Paese, da attuarsi auspicabilmente anche mediante il recupero delle somme rivenienti dai tagli alle spese improduttive ovvero da una attenta razionalizzazione delle stesse, rifuggendo altresì da ogni facile suggestione di alienazione del residuo patrimonio produttivo pubblico da taluni quantificato, ad avviso di questa Organizzazione, in maniera riduttiva (nell’ordine di 300 miliardi di euro).
È d’uopo ricordare che il patrimonio produttivo pubblico venne “costruito” faticosamente da lungimiranti Pubblici Amministratori nei primi decenni del secolo XX con la costituzione e sviluppo dell’IRI prima, e, nei successivi anni cinquanta-settanta, dell’ENI poi.
Il residuo di questo patrimonio produttivo merita una stabile destinazione collettiva, ben diversa da quella della “privatizzazione”, sic et simpliciter.
- una incisiva politica sociale, in linea con quelle praticate dai più avanzati Paesi dell’Unione Europea, di protezione delle fasce più fragili e deboli che concretizzi stabilmente un’azione di contrasto alla povertà “assoluta” e “relativa” (di cui al Rapporto annuale dell’Istat, in materia); povertà la quale risulta essere alimentata dalle sacche di disoccupazione e di successiva consolidata inoccupazione, provocata, anche e prevalentemente, dai fenomeni sopra richiamati. È inevitabile che la formazione di siffatte sacche determina l’intervento di costosi, ancorché temporanei, meccanismi collettivi di protezione sociale (Cig, indennità di disoccupazione, RdC, PdC, AdI, ecc.).
Al fine di contrastare gli evidenti effetti sociali negativi che il “liberismo globale” (ergo, “globalizzazione”) produce nei singoli Paesi, occorre – a nostro avviso – concretizzare non azioni-tampone, ma efficaci e duraturi rimedi, in una complessiva visione strategica di contenimento e di contrasto.
In conclusione, il Comitato di Presidenza ha auspicato che le sintetiche considerazioni sopra formulate possano trovare, a livello istituzionale, recepimento fertile, al fine di concretare, in una visione di ampio respiro, attive politiche di protezione sociale nonché di rilancio e di sviluppo economico, per quanto possibile, del Paese Italia.